Slideshow 侍- SakurAlberico - 侍 : Alessandro D’Avenia COSE CHE NESSUNO SA Romanzo

martedì 10 settembre 2013

Alessandro D’Avenia COSE CHE NESSUNO SA Romanzo



«Gli antichi marinai scolpivano sulla prua delle navi una
figura umana, che aveva il compito di proteggerle. All’inizio
erano solo degli occhi enormi, che consentivano alla nave
di vedere la rotta. Poi li trasformarono in divinità femminili:
donne bellissime, dallo sguardo ipnotico, capace di
incantare i flutti e intimorire i nemici.»

. La bellezza nasce dai
limiti, sempre.

Fissa l’orizzonte insieme a lei, che prova
l’imbarazzo del suo corpo inquieto e nuovo, che sente
quasi come una colpa.

Margherita, in latino significa “perla”.

«Perché tutti i nomi delle barche sono di donna?»
Il padre non risponde, riflette in silenzio e tira su le parole
come se le trovasse in fondo a un pozzo. Sa sempre tutto,
suo padre.
«Sulla barca di Ulisse, disegnata nel libro che amavo di più
da bambino, c’era scritto Penelope. Ogni marinaio ha un
porto, una casa a cui tornare, perché ha una donna che lì lo
aspetta, e il nome della sua barca gli ricorda il motivo per
cui va per mare...»

«Lo so, ma questo non mi toglie la paura.»
«Allora stai vivendo.»
«Che vuol dire?»
«Quando hai paura, è segno che la vita sta cominciando a
darti del tu. Stai diventando una donna, Margherita.»

Margherita inspira l’odore fresco di lui, capace di calmarla
e di convincerla che è al mondo per esplorarlo

il mondo intero è il dono di un padre alla figlia
nel giorno del suo compleanno.

Lui spiega: «Una volta ho sognato una donna bellissima,
vestita di un cappotto bianco. Mi guardava e sorrideva. Le
ho chiesto: “Da dove viene la tua bellezza?”. E la donna mi
ha risposto: “Un giorno piangevi e io mi sono strofinata il
viso con le tue lacrime”»

Ognuno può padroneggiare un dolore,
tranne chi l’ha.
W.SHAKESPEARE, Molto rumore per nulla

Si vu’
sapiri a verità, dumannala ai picciriddi

Andrea non aveva risposto nulla: si rifugiava spesso in una
silenziosa bolla infantile, fatta di realtà e fantasia
mescolate

Le parole per i vecchi e per i bambini non servono a
spiegare, giustificarsi, giudicare, ma sono come nodi su un
filo, servono ad assicurare che il mondo è rimasto in
ordine: Cu’nun fa lu gruppu a la gugliata, perdi lu cuntu
cchiù di na vota. Così diceva la nonna, ma nessuno capiva
che affermava una verità semplice come le sue ricette: chi
non fa i nodi perde il filo. Anche nella vita.

Anche il
suo corpo emetteva un’eco, il respiro sempre antico e
sempre nuovo della vita.

Maybe I’m in the black, maybe I’m on my knees.
Maybe I’m in the gap between the two trapezes

I turn the music up, I got my records on
I shut the world outside until the lights come on
Maybe the streets alight, maybe the trees are gone
I feel my heart start beating to my favourite song

And all the kids they dance, all the kids all night
Until Monday morning feels another life
I turn the music up
I'm on a roll this time
And heaven is in sight

uh...

I turn the music up, I got my records on
From underneath the rubble sing a rebel song
Don't want to see another generation drop
I'd rather be a comma than a full stop

Maybe I'm in the black, maybe I'm on my knees
Maybe I'm in the gap batween the two trapezes
But my heart is beating and my pulses start
Cathedrals in my heart

as we saw oh this light
I swear you, emerge blinking into
To tell me it's alright
As we soar walls,
every siren is a symphony
And every tear's a waterfall
Is a waterfall
Oh
Is a waterfall
Oh oh oh
Is a is a waterfall
Every tear
Is a waterfall
Oh oh oh

So you can hurt, hurt me bad
But still I'll raise the flag

Oh
It was a wa wa wa wa wa-a-terfall
A wa wa wa wa wa-aterfall

Every tear
Every tear

Every teardrop is a waterfall

Every tear
Every tear

Every teardrop is a waterfall
Giro la musica, ho ottenuto il mio record su
Ho chiuso il mondo esterno fino a quando le luci si accendono
Forse le strade accese, forse gli alberi sono scomparsi
Sento il mio cuore battere inizio alla mia canzone preferita

E tutti i ragazzi ballano, tutti i ragazzi per tutta la notte
Fino a Lunedi mattina si sente un'altra vita
Mi rivolgo alla musica fino
Sono su un rotolo questo momento
E il cielo è in vista

uh ...

Alzo il volume della musica, 
ho messo su i miei dischi 
Ho chiuso fuori il mondo 
fino a quando non si accenderanno le luci 
forse le strade sono accese, forse gli alberi sono scomparsi 
Sento il mio cuore che inizia a battere 
a ritmo della mia canzone preferita 

E tutti i ragazzi ballano, tutti i ragazzi, tutta la notte 
Finché lunedì mattina sembrerà un’altra vita 
Alzo il volume della musica 
è il mio momento fortunato, questa volta 
e il paradiso è in vista 

Alzo il volume della musica, 
ho messo su i miei dischi 
Da sotto le macerie canto una canzone ribelle 
Non voglio vedere un altro crollo generazionale 
Preferisco essere una virgola piuttosto che un punto 

forse sono in credito, forse sono in ginocchio 
forse sono nello spazio vuoto tra i due trapezi 
ma il mio cuore batte ed iniziano le mie pulsazioni 
ci sono cattedrali nel mio cuore 

E abbiamo visto questa luce, 
te lo giuro, emergere in un batter d'occhio 
Per dirmi che va tutto bene 
Mentre eleviamo muri, ogni sirena è una sinfonia 
E ogni lacrima è una cascata 
E’ una cascata, è una cascata... 

quindi puoi ferirmi, puoi farmi male 
Ma io alzerò ancora la bandiera 

Era una cascata, una cascata... 
Ogni lacrima, ogni lacrima 
Ogni lacrima è una cascata...

Il mondo fuori assomigliava a un palcoscenico in attesa
della sua danza e, sebbene il pubblico le incutesse timore,
sapeva che dietro le quinte c’erano persone che l’amavano
e la rendevano forte: il padre, la madre, il fratello, la nonna,
le amiche

Andrea entrò senza bussare nel santuario di Margherita e
lei neanche se ne accorse. Le si aggrappò al braccio,
cercando di scuoterla dalla sua trance adolescenziale.
«Poc-corn!» disse sporgendo leggermente in fuori il labbro
inferiore, come era solito fare quando doveva convincere la
sorella, incapace di resistere a quell’atteggiamento da
gatto abbandonato sotto la pioggia

Ogni volta che poteva Andrea le chiedeva di preparare i
“poc-corn”, più per sentirli esplodere che per mangiarli.
Margherita, da donna quale cominciava ad essere,
resistette. Le piaceva che il fratello la pregasse, con quel
labbro sporgente e gli occhi languidi. Poi sorrise.

«Aspettami in cucina. Arrivo.» Voleva ascoltare la fine
della canzone. Non sopportava l’interruzione di una
canzone, era come se qualcosa di incompiuto rimanesse
sospeso nell’aria e nel mondo, e lei non voleva lasciare

qualcosa in disordine. La canzone si spense:

a lei usciva dall’armadio. Amore
e felicità erano sinonimi di vita e la paura non esisteva. Lei
usciva dal grembo dell’armadio e i suoi la abbracciavano e
la sollevavano sul lettone, sul quale cominciava a saltare. Il
buio dell’armadio era dimenticato nell’abbraccio
domenicale dei suoi.

Aprì l’armadio e le sembrò un deserto di legno. Per metà
era vuoto, il vuoto tristemente desolante delle cose che
siamo abituati ad amare solo piene: le piscine, le buste, le
culle.

Il vuoto onnivoro dell’abbandono divorò la luce di
Margherita. Rimaneva solo il profumo dei vestiti assenti del
padre e il sentore fresco e secco del suo dopobarba. In
quel preciso istante la nostalgia diventò il sentimento
dominante della sua vita, cristallizzato nelle cavità
dell’anima, come corallo del cuore, prezioso perché raro e
inaccessibile.

Margherita nel buio era un mollusco chiuso in una
conchiglia, che un predatore ha sorpreso aperta e indifesa.
La carne tenera cerca di far aderire i lembi perfettamente,
come una cassaforte capace di resistere a tutta la
pressione del mare, ma impreparata alle chele affilate e
chirurgiche del nemico. Il predatore cercava di strapparla
dalle sue pareti sicure, lasciarla vuota

La figlia era rannicchiata nell’angolo svuotato,
col corpo attorcigliato intorno al dolore: una conchiglia a
spirale, un nautilus costruito in perfetta proporzione
geometrica dalla sapienza del tempo attorno a un centro.
Chi conosce il dolore ne riproduce l’eco per tutta la vita,
come le conchiglie fanno con il mare.

Timeo hominem
unius libri. Gli uomini da un libro solo sono i più pericolosi.

La scuola era intasata
da spenti professori senza passione, che rendevano
impossibile un ingresso stabile a giovani che ormai non
erano più giovani.


Tu sei così giovane, così al di qua di ogni inizio, e io ti
vorrei pregare quanto posso di aver pazienza verso
quanto non è ancora risolto nel tuo cuore, e tentare di
avere care le domande stesse come stanze serrate e libri
scritti in una lingua molto straniera. Non cercare ora
risposte che non possono venirti da te perché non le
potresti vivere. E di questo si tratta: di vivere tutto. Vivi ora
le domande. Forse ti avvicinerai così, a poco a poco,
senza avvertirlo, a vivere un giorno lontano, la risposta.

e. La memoria delle
donne non è situata nella testa, ma nel corpo, dappertutto.
Anima e corpo in una donna sono più uniti, e ogni parte del
corpo ricorda, soprattutto quando ha perso la mano che
l’accarezzava, le braccia che la sollevavano, le labbra che
la baciavano

«Anche i trapezisti perdono l’equilibrio. Ma se cadono c’è
la rete e non si fanno male. Il circo è un gioco, Margherita.»

o. Fuori dalla finestra la gente si aggirava nel
buio come se fosse tutto a posto e invece lei vedeva una
folla di funamboli senza rete sui fili fragili e intrecciati della
vita.

«Mettiamo in chiaro alcune cose. Intanto la parola figo e i
suoi derivati sono banditi da questa classe! Qui si usano
aggettivi italiani e si cerca quello più adeguato alla
sfumatura che si vuole attribuire alla parola: bello,
interessante, affascinante, notevole, piacevole, ameno,
leggiadro, elegante, armonioso, equilibrato, singolare,
stimolante, intrigante, avvincente, appassionante, curioso,
nobile, dignitoso, illustre, pregevole, mirabile... e così via!

«Un tempo magico, in cui potrete dedicarvi a cose che
probabilmente non farete più nella vostra vita. Un tempo
per scoprire chi siete e che storia siete venuti a raccontare
su questa Terra. Non sopporto di vedere ragazzi che
finiscono la scuola e non sanno se andare a lavorare o
scegliere una facoltà universitaria o quale scegliere.
Significa che hanno buttato quelle cinquemila ore, quei
mille giorni. L’unico modo che abbiamo per scoprire la
nostra storia è conoscere quelle degli altri:
reali e
inventate. E noi faremo questo con la letteratura. Solo chi
legge e ascolta storie trova la sua. Quindi quello che oggi
comincia è un viaggio con queste coordinate temporali e
questo mare da navigare. Io sarò con voi solo per
quest’anno, a meno che non mi confermino anche l’anno
prossimo. Comunque vada ce la metteremo tutta, come si
fa su una nave, in cui ciascuno ha il suo compito. Ecco
perché farò l’appello, ogni volta. Per sapere se accettate la
sfida, se salpate con me.»

Inde quippe animus pascitur, unde laetatur
«Significa: “Nutre la mente soltanto ciò che la rallegra”. E
sarà il nostro motto.»

«Significa che qui studieremo solo quello che rallegra il
nostro cuore e la nostra mente. L’unico modo di imparare è
rallegrarsi

«Perla» lo interruppe Margherita fredda.
«Brava. Viene da un’antica radice indoeuropea che vuol
dire “pulire” e quindi “ornare, rendere bello”...»
«E cosa c’entra questo con il fiore?» chiese una ragazza
con i capelli cortissimi e a metà tra il rosso e l’arancione.
«Un fiore delicato, semplice, che serviva a ornare le case.
Ma originariamente il nome si riferiva alla perla che nasce
dentro l’ostrica...»

«Gli antichi credevano che la perla nascesse da una
goccia di rugiada caduta dal cielo, che si depositava
dentro la conchiglia aperta nel periodo della
fecondazione.»
Aldo sorrise. Elisa divenne rossa

«La goccia di rugiada celeste rimaneva chiusa nello
scrigno della conchiglia come nel grembo di una madre e
ne nasceva la perla, che assumeva il colore del cielo che la
goccia aveva registrato quando si era depositata. Gli
antichi avevano una storia per tutto: una perla nera nasceva
da una tempesta, più rara di quelle bianche, nate in giorni e
ore luminosi. Questa però è una versione un po’
romantica...»

«In realtà quando un predatore entra nella conchiglia nel
tentativo di divorarne il contenuto e non ci riesce, lascia
dentro una parte di sé che ferisce e irrita la carne del
mollusco, e l’ostrica si richiude e deve fare i conti con quel
nemico, con l’estraneo. Allora il mollusco comincia a
rilasciare attorno all’intruso strati di se stesso, come
fossero lacrime: la madreperla. A cerchi concentrici
costruisce in un periodo di quattro o cinque anni una perla
dalle caratteristiche uniche e irripetibili. Ciò che all’inizio
serviva a liberare e difendere la conchiglia da quel che la
irritava e distruggeva diventa ornamento, gioiello prezioso
e inimitabile. Così è la bellezza: nasconde delle storie,
spesso dolorose. Ma solo le storie rendono le cose
interessanti...»

«Ma io non volevo sapere della perla, ma del motivo per
cui la bellezza nasconde storie dolorose.»

«Tutti scappano davanti alle domande vere» aggiunse
Margherita ostentando una freddezza sicura, con la
coerenza spaventosa e l’irriverenza dell’adolescente in
fuga troppo rapida verso l’età adulta.

Margherita entrò in bagno: era già al capolinea, non c’era
nessun viaggio da cominciare. Era stufa di parole, perché
gli uomini con le parole dicono bugie.

e L’uomo deve poter scegliere tra
bene e male, anche se sceglie il male. Se gli viene tolta
questa scelta non è più un uomo, ma un’arancia
meccanica, S. Kubrick

Il primo passo per la
vita eterna è che devi morire.

Per vivere non bastano la scuola, il calcio e gli amichetti,
occorre attraversare tutti gli strati della paura per non
averne più. Spingere il corpo al limite dell’adrenalina, fino a
controllare persino l’istinto di sopravvivenza e scegliere
tutto quello che lo contraddice con perfetto calcolo. Una vita
che non attraversa la paura non esiste, è una maschera, è
finta. E lui faceva sul serio. Non per comodità o per soldi. I
soldi se li procurava senza problemi. Era questione di
scelte. Lui non era come tutti quei frocetti perbenisti, che
fingevano di essere dei bravi bambini e poi si facevano di
qualsiasi cosa o pagavano le ragazze. Stavano dentro le
regole e le infrangevano di nascosto, che è il modo più
bieco di accettarle. Per lui le regole non c’erano e basta.
Chi aveva deciso che doveva prendere dei voti? Essere
giudicato? Fare una carriera? La vita è anarchia pura e
l’istinto di sopravvivenza  è l’unico ordine accettabile
imposto al caos delle cose.

. Il segreto per vincere
la notte è farsi la pelle e il cuore più duri di lei.

. Le mani per lui non avevano segreti, né le sue,
capaci di ogni illusione, né quelle degli altri, segnaletica
infallibile della verità e della menzogna.


Il bagno delle ragazze, cosparso di urla di dolore e
d’amore, è il luogo più vero e sicuro dell’intera scuola, il
posto in cui puoi dire ciò che pensi e farlo sapere agli altri
senza essere sospeso. Ma non poteva rimanere chiusa in
bagno per sempre. Uscì e si trovò faccia a faccia con due
occhi azzurri, quasi bianchi, stelle di una galassia perduta.
Margherita, come un marinaio sotto il manto notturno del
cielo, si immerse in quegli occhi e vide qualcosa che le
assomigliava. Giulio, sorpreso da quelle due ferite verdi e
malinconiche, la guardò di rimando, il tempo sufficiente a
un poeta per ricevere l’ispirazione. Pupille nelle pupille,
provarono la sensazione di chi attraverso una fessura si
sporge su un abisso fino a farsi cogliere da un’inebriante e
sacra vertigine. Per non cadere dovettero distogliere lo
sguardo. Lui lasciò scivolare il proprio lungo le braccia di
lei e le guardò le mani esili, affusolate, mobili: era come se
avesse trovato l’assoluzione di cui aveva bisogno e che
non sapeva di cercare. Si voltò e si incamminò dall’altro
lato del corridoio, con le spalle nude, senza armatura. Per
la prima volta in vita sua ebbe paura: ciò che voleva, forse
senza nemmeno saperlo, gli era apparso nella cosa più
fragile che avesse mai visto. Lui, creatura invincibile del
buio, si era lasciato incantare da una minuscola e
insignificante lucciola vagante in una notte estiva.

. Non avrebbe mai
lasciato una scia così seducente, non sarebbe mai stata
all’altezza della perfezione: non era neanche ai piedi della
scala. Lei era una trascurabile primina, ancora acerba e
invisibile, buona a suscitare risate e attirare figuracce. Ed
era senza padre.
Per un attimo le tornò in mente lo sguardo di Luca che al
mare le aveva detto «Sei carina». Lei si era aggrappata a
quell’aggettivo come a un’ancora di salvezza e se lo era
ripetuto tutte le volte che poteva, perché per una donna le
parole hanno un peso, non sono leggere come per un
uomo. Una donna ci crede alle parole, soprattutto quando è
un uomo a pronunciarle, solo a lei.

Le
donne sentono tutto, contemporaneamente, e sanno
distinguere le singole voci, soprattutto quelle cattive

Era sola in mezzo a tante persone. Avrebbe voluto trovare
argomenti da condividere: smalti, cinture e scarpe, ma le
veniva in mente sempre e soltanto il suo ingombrante
dolore

«Ciao, io sono Marta.» Una voce squillante esplose
all’improvviso vicino al suo orecchio, come quando parte
una canzone e il volume è troppo alto.

Margherita sobbalzò e squadrò il viso che aveva accanto,
senza dire nulla. Un apparecchio rendeva il sorriso
alquanto metallico, ma quella ragazza non sorrideva tanto
con la bocca, quanto con due occhi tondi, blu petrolio. Una
fontana di capelli rossi ricci e attorcigliati zampillava in tutte
le direzioni, come se le fosse esploso un fuoco d’artificio
sulla testa.
«Di che segno sei?» chiese la ragazza, improvvisamente
seria.
Margherita non rispose. Marta si fece ancora più seria.
«Perché hai pianto?» chiese poi con voce più affettuosa,
dimostrando che un sorriso può avere gradi di intensità
insospettati.
Margherita la guardò dentro gli occhi: erano buoni, oltre
che stravaganti.
«Per la paura» rispose.
Marta le diede un bacio sulla guancia e si allontanò. Afferrò
la borsa e si andò a posizionare accanto a Margherita, che
era rimasta isolata in fondo.
«Io sono un acquario.»
Margherita rimase impassibile.
Lo sai che è impossibile leccarsi i gomiti?» rincarò
Marta, e per dimostrarlo ci provò, contorcendo la lingua in
direzione del gomito destro. «Vedi?»
Margherita scoppiò a ridere.
«Ci sono un sacco di cose che nessuno sa» disse Marta
fintamente seria, e poi si mise a ridere di cuore lasciando
scintillare apparecchio, occhi e capelli.
La ragazza bionda e le sue amiche rimasero in un silenzio
attonito e sprezzante, mentre i maschi non si erano accorti
di nulla.

Le
lacrime, un lusso che solo i deboli possono concedersi.

Sottrarre il portafogli a un primino nella ressa dell’uscita
era un gioco di prestigio a una sola mano: un allenamento
per i borseggi più complessi. Non rubava, erano pezzi di
bravura. A uno di prima bastava avvicinarsi da dietro e
sfilargli il portafogli che sporgeva dalla tasca dei pantaloni
a vita bassa. Si guardò intorno, nessuno aveva notato nulla.
Si sentì vivo.

Una ragazza si passava la mano tra i lunghi
capelli per aggiustarli, ma in realtà la tensione delle dita
manifestava il desiderio inquieto che qualcuno la notasse.

. Sapeva bene che il corpo non può mentire, che
il novanta per cento del linguaggio è non verbale e che i
gesti spontanei dicono sempre la verità, a differenza delle
parole. Quando qualcuno mentiva, bastava far caso alle

mani o ad alcune minime pieghe del volto.

Intanto gli studenti sciamavano dal portone d’ingresso.
Quelli di prima li riconoscevi dalla foga con cui muovevano
le mani e dai sorrisi aperti e inconsapevoli, ancora
suggestionati dal primo giorno di scuola. Le ragazze poi
portavano la mano alla bocca per sussurrare alla
compagna quanto era bello un ragazzo, come se non ne

avessero mai visti. Era ridicolo: nei loro occhi brillava la
speranza di chissà quale cambiamento nelle loro vite,
mentre nelle loro mani si agitava la frenesia di afferrare
qualcosa che non esiste. Sembravano pugili che si battono
contro l’aria. Erano entrati in quel ring artificiale che è la
scuola e le loro energie sarebbero state risucchiate da
interrogazioni, compiti, esercizi... Un impegno capace di
riempire le loro testoline, illudendoli di dare un senso alle
loro piccolissime vite, mentre non erano che strumenti
inconsapevoli al servizio dell’autostima ferita di adulti falliti,
che speravano di potersi vantare almeno dei voti dei figli.
Sai che soddisfazione! Liceo, università, lavoro, famiglia,
figli, vecchiaia, tomba. Un percorso lineare, deciso non si
sa da chi, e che va a finire per tutti nello stesso modo:

cenere

“Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai
in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del
tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la
canticchiante e danzante merda del mondo!” avrebbe detto
Tyler Durden, e lui era d’accordo. Quei ragazzi non
sapevano niente della vita, si accontentavano di sfiorarne
la superficie. Lui no. Andava fino in fondo, e trovava
sempre lo stesso cartello arrugginito: capolinea. La gente
prende l’autobus convinta di avere un percorso da
compiere, sale, scende, parla, legge, mangia, dorme. Così
ogni giorno. Un modo come un altro di rimandare il
capolinea. Ultima fermata, si scende. La morte. Non c’è
altro. Per questo amava così tanto i cimiteri. Se parti dalla
consapevolezza che la meta è un capolinea, tutto il resto
diventa spietatamente chiaro. Non vale la pena affannarsi,
la natura va avanti benissimo senza di te, di te se ne fotte.
Con la ferrea legge del più forte e quella cinica
dell’autoconservazione, inesorabili, il destino di tutto e tutti
si compie. L’unica libertà concessa è resistere con dignità
fino al capolinea, giocando come il gatto con il topo,
consapevoli però di essere il topo, non il gatto, e di non
avere scampo. Cercare di divertirsi, almeno. E poi
scendere, soddisfatti. Almeno un poco. Capolinea.

Ma cosa volevano tutti da lui? Più cercava di starsene solo
più gli si attaccavano addosso, come se fossero invidiosi
di chi sa stare solo con se stesso. Cercò l’origine della
voce che lo chiamava, ed erano capelli neri, occhi neri,
collo flessuoso, pelle di porcellana.
Giulio la fissò, serio. Lei avvicinò le labbra all’orecchio di
lui, gli sfiorò il lobo e sussurrò:
«Ti voglio.»

Giulio appoggiò la guancia contro la sua e annusò, alla
ricerca di una tenerezza che non aveva mai ricevuto da
nessuna ragazza. Quella pelle liscia, quel profumo leggero
scioglievano un po’ del dolore di cui era impastato, ma non
raggiungevano mai il nascondiglio dove quel dolore era
rintanato. Per arrivare sino a lì ci voleva la tenerezza di una
madre, e in ogni donna che toccava Giulio cercava la pelle
di sua madre, senza trovarla mai.

«Cercavo La voce a te dovuta di Pedro Salinas.»
Mentre guardava tra gli scaffali, lei aveva mormorato tra sé
e sé: «Cuando tú me elegiste / – el amor eligió – / salí del
gran anónimo / de todos, de la nada... Quando tu mi hai
scelto / – fu l’amore a scegliere– / uscii dal grande
anonimato / di tutti, del nulla»

Il sorriso con cui aveva accompagnato quelle parole era
stato una rima perfetta sul suo viso. Gli dèi donano soltanto
il primo verso, poi il compito dei poeti è esserne all’altezza
nei successivi, e così è l’amore: accade come un dono del
cielo e poi il testimone passa a noi, chiedendoci il
coraggio e la fatica di lasciarlo accadere, senza paura
della nostra inadeguatezza.

«Come un bel libro a pagina cinquanta...» rispose lei,
ricorrendo a un espediente che avevano inventato per
descrivere i sentimenti: in questo caso una gioia ignota ma
sicura. “Un libro abbandonato a pagina dieci” indicava un
dolore forte, “un libro interrotto alla penultima pagina” il
culmine del desiderio o la paura che qualcosa finisca
troppo presto.

«Come facevo a pensarci se non so di cosa si tratta?»
Lei gli mise le mani sulle guance e gli scosse la testa:
«Quanto sei arido! Alle donne piace pensare un pensiero
senza contorni...»

«A noi donne piace essere intuite, indovinate e a volte
persino inventate... E ci fa impazzire scoprire che l’uomo
che abbiamo accanto vede in noi cose che nemmeno noi
sappiamo» disse lei civettando con gli occhi e giocando
con la punta dei capelli.

Se incanti una donna per quattro secondi
di seguito, senza annoiarla, è fregata...»


Tornò con un libro e lo sollevò davanti al suo viso, in modo
che se ne leggesse bene il titolo, e lasciò sporgere sopra
la copertina i suoi occhi tramati di linee blu e viola, Di cosa
parliamo quando parliamo d’amore. Sorrise.

«Da quando sto con te sono migliorata. E anche tu lo sei,
professore. Insieme siamo migliori che presi
singolarmente: siamo più reali. Certo non siamo perfetti,
ma la perfezione, lo sai, è sempre a un gradino dalla
perfezione e la lasciamo agli altri. A me piace la
sacrosanta e intensa imperfezione della vita...»


«Succede che si sposano, vanno a vivere insieme,
mettono su casa, la riempiono di libri e... di bambini.»

Lui si fece serio. Sospettava qualcosa del genere, ma non
che le cose potessero precipitare in quel modo. Nei libri le
cose hanno i tempi giusti. La vita invece ha sempre troppa
fretta, bisognerebbe prima scoprirla un po’ meglio,
insegnarle a vivere. Fissava Stella nel silenzio della libreria
ancora troppo vuota e lei la illuminava tutta con la sua
solarità.

«Dimmi, Folle, cosa è Amore?» lo scosse lei citando dei
versi che lui conosceva bene, nel tentativo di aprire il primo
dei catenacci che serrava il suo cuore impaurito.
«Amore è ciò per cui i liberi divengono prigionieri e i
prigionieri liberi» rispose lui d’istinto, ingannato da un
gioco al quale non sapeva resistere e del quale lei
conosceva come nessun altro le regole. Poi, acciuffandolo
dallo spiraglio che si era aperto nel muro della sua
autodifesa, la paura, con la sua mano artigliata, lo ricacciò
nel buio.
«Stella, noi invece stiamo insieme e siamo liberi. Stiamo
così bene... Perché vuoi rovinare tutto?»
Senza aspettare risposta uscì. Le ruote della bici si
mossero a fatica, sembrava di dover spingere la strada più
che i pedali.

Di questo parliamo quando parliamo d’amore: di
lacrime.

Chissà se quelle dell’amore ferito raccolte tutte insieme
formano un oceano più vasto di quelle scaturite dall’amore
corrisposto. Chissà se sono in equilibrio come le salite e le
discese.
Sono cose che nessuno sa.

«E allora tieniti la paura e rimani col dubbio.»
Margherita contrasse le labbra e stava per ricominciare a
piangere: avere paura e sperare sono i due ingredientiinestricabilmente fusi in quel sentimento che chiamiamo
più semplicemente nostalgia. Questo lei provava.

«Dietro ogni dolore c’è una benedizione...»

«Margherita, la vita è come i dolci. Puoi avere tutti gli
ingredienti e le istruzioni della ricetta, ma non basta perché
siano buoni.»
«Cioè?»
«Per cento volte in cui facevo un dolce riuscito, altre cento
non mi veniva: piatto, ’nguttumato, scipito, troppo
chiummuso...»
«E cosa avevi sbagliato?» chiese Margherita senza aver
compreso tutto.
«Niente.»
«Come niente?»
«Nella procedura niente.»
«E allora?»
«Vuol dire?»
«Pensavo ad altro, seguivo le regole, ma pensavo ad
altro...»
«Che c’entra con me?»
«Se non ci metti u sangu e u cori nelle cose che hai di
fronte, la vita non riesce. Devi amare quello che fai. Ogni
dolce ha la sua storia: la persona per cui lo prepari, i
sentimenti che provi mentre lo prepari... ogni cosa entra
nelle mani e mentre impasti pensi con le mani, ami con le
mani e crei con le mani. I dolci più buoni mi sono venuti
quando pensavo di prepararli per tuo nonno. Anche
adesso che non c’è...»

Margherita ascoltava la sapienza della madre di sua
madre. Nonna Teresa era sicura che non bastasse
conoscere le cose per riuscire a farle, bisogna invece
sapere chi si è e chi si ama.

«Devi cercare tuo padre e gli devi chiedere di tornare. E
se non vuole tornare lo vai a prendere. Non sei più una
bambina, gioia mia. Ori lignu o ri nuci ogni casa avi a so’
cruci...»

«“Cosa viene dal cielo?” gli chiedevo anche se sapevo già
la risposta. E lui con un sorriso rispondeva: “L’amore”.»
«Perché?» chiese Margherita.
«Perché dal cielo viene e al cielo ritorna...»

e passione significa sia “amare” sia “patire”...
Avere passione è provare amore e dolore insieme:
Le librerie alle pareti erano riempite da romanzi, dvd e cd.
La gente legge romanzi d’amore, guarda commedie
romantiche, ascolta canzoni sentimentali. E pensa che
l’amore riempia il vuoto della propria solitudine.
nessuno può riempire ciò che non ha fondo. Aveva l’anima
come un pozzo e non smetteva di buttarci dentro pietre per
riempirlo, ma non affioravano mai: sparivano nel nulla e lui
non aveva il coraggio di sporgersi a guardare dentro. Non
voleva bere la sua acqua avvelenata, voleva solo riempire il
buco una volta per tutte.

Giulio voleva giocare, come un bambino. Ma non c’era una
madre disposta a guardarlo giocare. Provava a giocare lo
stesso, ma il suo era un gioco pieno di tristezza e di
rabbia. Giocava con quella ragazza, con la scuola, con il
rischio, con la vita e persino con la morte.

I gesti degli
uomini e delle donne rivelano sempre le loro riposte
intenzioni. Da quando era bambino aveva imparato a non
fidarsi di nessuno. Si era abituato a riconoscere dai tratti
del volto o dal movimento delle mani se qualcuno lo voleva
ingannare, sedurre, picchiare.

Non spiegarti il tuo amore e non me lo spiegare;
ubbidiscigli e basta. Chiudi
gli occhi, le domande, sprofonda
nel tuo amore...
Meglio non amarsi
guardandosi in specchi compiaciuti,
dissolvendo
quella grande unità in giochi vani;
meglio non amarsi
con ali, nell’aria,

L’amore bisogna
smascherarlo e guardarlo in faccia. Non voleva che
qualcuno gli “entrasse nel cuore”, perché non sapeva
“dove” si trovasse, e in realtà nemmeno se esistesse,
quella stanza luminosa. Non voleva più che il cuore
Non voleva che
qualcuno gli “entrasse nel cuore”, perché non sapeva
“dove” si trovasse, e in realtà nemmeno se esistesse,
quella stanza luminosa. Non voleva più che il cuore
“tremasse”, “si riscaldasse”, “si spezzasse”, “scoppiasse”,
“si dilatasse”, “si restringesse”, come se il suo pompare
avesse a che fare con le illusioni delle meccaniche della
felicità, come se un cuore “pieno” fosse felice e uno “vuoto”
fosse infelice.

Bisognava rinnovare le parole che servivano a definire
l’amore e liberare l’umanità dalla schiavitù delle metafore.
Anche lui ogni giorno fabbricava armature per difendersi
dalla vita, invece di prenderla così com’era, perché non
riusciva a sopportare l’odore della vita.

La vita è
così: nasce in silenzio, in un nascondiglio, e pian piano si
ingrossa nel suo trascorrere e canta proprio dove incontra
un ostacolo

Ho cercato di inventare nuovi fiori, nuovi astri, nuove
carni, nuove lingue. Infine, chiederò perdono per essermi
nutrito di menzogna... e mi sarà concesso di possedere la
verità in un’anima e in un corpo...

Ho cercato di inventare nuovi fiori, nuovi astri, nuove
carni, nuove lingue. Infine, chiederò perdono per essermi
nutrito di menzogna... e mi sarà concesso di possedere la
verità in un’anima e in un corpo...

Aveva paura di scegliere, senza capire che

questo significava rinunciare.

“Non voglio rovinare tutto, anzi: voglio che tutto sia ancora
più grande, bello e pieno. Fidati, prof, lascia fare a me, ma
tu supera i tuoi limiti. Non hai idea quanto sia bello amare
oltre le proprie paure. Io conosco le tue e le voglio fare mie.

Ti amo.”

Tutti vogliono grazia, ma non tutti la possono accogliere nello stesso momento e allo stesso
modo. Tutti desiderano sentirsi dire “ti amo”, ma non tutti
hanno il coraggio di accettare che sia un altro a dirti “voglio
che tu sia”.

«Ho paura del buio.»
«Il buio non c’è, Andrea.»
«Invece sì.»
«Il buio è la luce spenta.»
«Nel buio ci sono i mostri. Alla luce non si vedono.»
«Tu li hai mai visti?»
«Sì.»
«E com’erano?»
«Brutti.»
«Perché, cosa facevano?»
«Paura.»
«Come?»
«Con il buio: come fanno i mostri. Ti fanno paura perché si
nascondono, ma ci sono.»
«Dove si nascondono?»
«Negli angoli, nei buchi, ed escono col buio. Di giorno ti
seguono da dietro, non hanno il coraggio di venirti davanti
perché la luce li soffia dietro di te. Però copiano tutto quello
che fai.»
«Perché?»
«Sono invidiosi.»
«E fanno male?»
«Sì.»
«Come?»
«Con il buio.»
«Ah...»
«Ma anche loro hanno una paura.»
«Quale?»

«Sono sempre soli e ti attaccano quando sei solo anche
tu.»
«E se siamo in due?»
«Non attaccano.»
«Perché?»
«Perché in due c’è luce.»
«Ma se è tutto buio!»
«No, c’è una luce che solo i mostri vedono.»
«Che luce?»
«La luce che si accende quando due persone sono vicine
e si abbracciano, come nella lampadina.»
«Che c’entra?»
«Dentro la lampadina ci sono le braccia e in mezzo passa
la luce.»
«E come mai noi non la vediamo?»
«Perché è una luce nascosta, si vede solo nei disegni.
Quando due si vogliono bene, nessun mostro può fare
niente.»

«Ci sono molti mostri qui a casa?»
«Adesso sì, perché prima la luce di papà e mamma li
teneva tutti lontani.»
«E ora?»
«La luce si è fulminata. Ora stanno uscendo tutti dagli
angoli e dai buchi. E hanno fame.»
«Cosa mangiano?»
«Il sonno.»
«Il sonno?»
«Sì, loro ti tengono sveglio e tutto il sonno che tu vuoi
dormire lo risucchiano.»
«E cosa ci fanno?»
«Crescono, diventano sempre più grandi.»
«E poi?»
«Poi non entrano più nei buchi e negli angoli e allora vanno
dappertutto.»
«Mmm...»
«Dobbiamo farli morire di fame...»
«Come?»

Chi ha un amore che veglia può dormire sonni tranquilli.

«Ogni dolce ha la sua pasta e ogni pasta ha la sua
musica» spiegò la nonna. «Per ogni dolce occorre cantare
la canzone giusta, questo è il segreto della pasta giusta.
Ogni dolce è fatto di un canto.»

anima si rallegrava
e le immagini gli si incrostavano sul cuore come alghe
sopra gli scogli. Così fanno le storie: rendono soffici gli
spigoli delle cose e ti permettono di camminarci sopra

Ognuno in quella famiglia faceva il tifo per l’altro, perché
ciascuno fosse se stesso. Non aveva mai visto tanta libertà
tutta insieme. A prima vista sembrava che ognuno si
occupasse di una cosa diversa e percorresse sentieri
solitari, ma in realtà recitavano tutti un unico copione. E non
era importante quale parte ciascuno avesse ricevuto: il
matto, il re, il soldato o il ladro... Ciascuno poteva essere
quello che era. Ciò che era importante era come
recitavano la loro parte, perché tutto lo spettacolo
funzionasse.

«Perché non mi hai avvertito?»
«Non volevo che rovinassi tutto.»
Eleonora ebbe un sussulto e crollò seduta, frantumata da
quella frase.
«Perché se n’è andato?» chiese Margherita.
«Non lo so.»
«Non lo sai? Nessuno sa mai niente!»
«Ho provato a chiamarlo... Nulla.»
Margherita vide sul volto della madre i segni dell’impotenza
e dell’abbandono. Era molto più simile a lei di chiunque
altro in quel momento. Avrebbe voluto abbracciarla,
baciarla, accarezzarla, ma una forza cieca e senza
tenerezza la bloccava.
«Dimmi la verità.»
«Non mi ama più.»
«E tu? Lo ami ancora?»
«Sì.»
«Allora perché lo hai fatto andar via?»

«Non mi ha chiesto il permesso...»
«Non lo amavi abbastanza. Se uno ha un tesoro, non lo
perde. Se lo tiene stretto a tutti i costi: è questione di vita o
di morte.»
«La colpa è mia adesso?»
«Sì, è tua.»

Eleonora appoggiò la testa sulle braccia incrociate e
abbandonate sul tavolo, sul quale i piatti vuoti aspettavano
di essere riempiti per una cena che non ci sarebbe stata.
Andrea entrò in cucina e trovò sua madre accovacciata sul
proprio dolore. Le si avvicinò e l’abbracciò, poggiandole il
viso tra i capelli, più o meno dove c’era un orecchio.
«Mamma, io ti voglio bene. Non ti lascerò mai. Tu sei la
mia mamma più bella.»
Eleonora sollevò il viso e vide dinanzi a sé un disegno.
C’era una donna che occupava tutta l’altezza di una casa.
Un bambino e una bambina giocavano dentro la casa e la
donna sulla soglia aspettava immobile, fronteggiando uno
spazio vuoto, interrotto soltanto da qualche albero e un
viale che si perdeva nel nulla sul margine destro.
Eleonora abbracciò il figlio e cercò di asciugare le lacrime
perché non fossero troppo evidenti, ma una cadde sul
foglio e creò una specie di aureola umida sulla donna in
attesa. Il colore del dolore non poteva che essere quello.
Adesso il disegno era perfetto.
Abbracciò il figlio e si perdonò di cercare la forza nell’unico
uomo che le era rimasto.

Uscì dal bagno, nuda. Andò nella camera della madre, aprì
le ante dell’armadio e ci si accoccolò dentro, mentre tutto il
dolore le sgocciolava ancora addosso. Sapeva, meglio di
Andrea, che in quell’angolo era rintanato un mostro che non
aspettava altro che la sua solitudine. O quel mostro fatto di
buio era lei stessa?
Il predatore l’aveva condotta in un luogo che non
conosceva, una stanza buia dentro di lei, occupata da
fantasmi e creature da incubo. Ma ora che c’era dentro
scopriva che era un luogo confortevole, nascosto e quasi
irraggiungibile. Da quella fessura poteva vedere tutte le
cose belle che esistevano in lei, simili a un focolare che
scaldava quella stanza in una notte d’inverno.
Avrebbe trovato amore in quel buio più di quanto ne
avesse trovato nella luce fredda e ingannevole del mondo:
poteva ancora fidarsi della vita, della vita che era in lei, e
se qualcuno l’avesse raggiunta lì probabilmente l’avrebbe
potuto chiamare Amore. Così simile al predatore nei modi
eppure così diverso negli effetti. Un predatore
misericordioso.
Addentò i vestiti di sua madre e vi urlò dentro i propri sensi
di colpa, poi, sfinita, si addormentò nel grembo di legno.

All’intervallo la cercò invano e nel suo petto iniziò a farsi
strada un sentimento strano, forse perché nuovo:
l’incompiutezza, o come la chiama la gente, la nostalgia

“Bellezza e libertà sono sufficienti
per vivere” avrebbe detto uno dei suoi eroi, Alex
Supertramp, quando, perso nelle terre estreme, sapeva
farsi bastare davvero quelle due cose, senza bisogno delle
menzogne e della cattiveria delle persone, rifugiato in un
bus al capolinea tra i ghiacci puri dell’Alaska.

 Avrebbe
voluto che il mondo fosse un posto ospitale e che la
bellezza gli fosse concessa una volta per tutte. Avrebbe
voluto qualcuno accanto.

“Oh voi, venti leggeri del sud e dell’est, / voi che vi unite pergiocare / e accarezzarvi sopra il mio capo, affrettatevi, /
correte sull’altra isola! / Là troverete, seduta all’ombra / del
suo albero preferito, / colei che mi ha abbandonato. / Ditele
che mi avete visto in lacrime.” Erano versi che scriveva di
nascosto. E di cui si vergognava.

«E poi ci ha spiegato che cosa vuol dire intelligente!»
disse Marta tentando di scalfire il muro alzato da
Margherita.
«Mmm...» mugugnò Margherita fingendo interesse.
«Viene da intus più legere: “leggere dentro”. La persona
intelligente è quella che sa guardare dentro le cose, dentro
le persone, dentro i fatti. Diceva che non è questione di
fare tante esperienze, ma di sapere cogliere il succo di
quelle che si fanno» spiegò Marta.

A me sto
prof piace perché ci crede..

Eleonora fissò il foglio. C’erano dei cerchi concentrici, che
si chiudevano in spirali su bianchissimi punti luminosi, e
questi emergevano dal cielo come se fossero in rilievo
rispetto al blu.

«Vede, Eleonora, i bambini dicono molto di più con la loro
creatività che con le parole. Da come giocano si intuisce il
loro atteggiamento nei confronti della vita» spiegò la
maestra. Si trattava di una verità semplice: il modo in cui
gli uomini fanno le cose rivela come vivono: da come fanno
l’amore rivelano, più che con mille parole, come amano.
Quando smettono di solito è perché non amano più.

 perché là dove il dolore si nasconde cresce la
madreperla della vita.

Cattivo: (dal lat. captivus: “prigioniero”)...
Libero: (dal lat. liber: “figlio”)...

Foresta: (dal lat. forum: “porta”, “ciò che sta fuori”, da cui
“forestiero, colui che viene da fuori, nemico”)...

Margherita si perse in immagini dimenticate di boschi e
foreste, in cui sepolta dalla vegetazione si nascondeva
ogni minaccia: lupi, orchi e streghe, ruderi, catapecchie e
stamberghe... Si immerse in quei pensieri selvatici.
Chiunque l’avrebbe interpretata come la solita incapacità
di concentrarsi dei quattordici anni, e invece era proprio il
contrario. Era ciò su cui il cuore era concentrato che le
rubava l’attenzione dalle distrazioni provocate dallo studio.
Le distrazioni, quelle tradite da occhi persi nel nulla, sono
in realtà le vere attenzioni, e quegli occhi che sembrano
non guardare niente in realtà vedono tutto.

Felicità: (dal gr. phuo: “genero, produco”, da cui il lat.
fertile, feto: “stato di pienezza”)...

«“Le cose belle non si possono nascondere.” Il nonno
diceva che la bellezza è l’unica cosa che ci ricorda che
vale la pena.»

Il professore fu ferito da un’inspiegabile nostalgia per le
vite delle persone che incrociava. Chissà cosa avrebbero
potuto raccontargli quella donna struccata e con i capelli in
disordine, quel ragazzo con lo sguardo perso nel vuoto e
quel bambino con gli occhi pieni di sua madre...

«Non ci sono limiti di pietra che possano vietare il passo
ad amore: ciò che amore può fare, amore osa tentarlo...»

«Non è la poesia a fare un amore, prof, ma il
contrario!»

 I rumori
della città erano un sottofondo quasi dimenticato, come
accade quando la bellezza rapisce l’anima

«Sì, amare. Solo chi sa leggere una storia sa capire ciò
che gli accade... Solo chi sa leggere un personaggio sa
leggere le pagine del cuore di un amico, un’amica, una
fidanzata, un fidanzato»

«Non multa sed multum!» rispose Margherita, lasciandolo
di sasso.
«Chi te l’ha detto?»
«Lo diceva sempre mio nonno.»
«Che vuol dire?» chiese Marta.
«Che l’importante non è leggere molte cose, ma leggerle
molto in profondità.»

Come tutti gli uomini avrebbero ripescato dal cuore
ciò che era nato da libertà, dono e passione, e non da
semplice conoscenza, che per la memoria non basta
Solo
amore e dolore ricordano


Il parco cambiava i suoi, di colori, seguendo la danza del
sole. Il professore leggeva le parole di un padre separato a
forza dalla figlia, con la quale dopo tanti anni si trova a
parlare senza averla riconosciuta:
Raccontami la tua storia; se ciò che hai patito si
dimostrerà, alla considerazione, soltanto un millesimo di
ciò che ho patito io, ebbene, tu sei un uomo allora, e io ho
sofferto come una fanciulla; eppure tu somigli alla
Pazienza che contempla le tombe dei re e disarma la
Sventura col sorriso. Chi erano i tuoi parenti? Il tuo nome,
mia gentile ragazza? Racconta, te ne supplico. Vieni,
siedi accanto a me.

Margherita si chiese se tutta la letteratura parlasse di lei. Il
professore era diventato inconsapevolmente la porta
attraverso cui entrano, da un mondo lontano e più vero del
nostro, risposte a cose che nessuno vuole sapere. Nella
vita di tutti i giorni nessuno ti chiede di raccontare la storia
che ti morde il cuore e te lo mastica, e se qualcuno te la
chiede, nella vita di tutti i giorni nessuno riesce a
raccontare quella storia, perché non trovi mai le parole
adatte, le sfumature giuste, il coraggio di essere nudo,
fragile, autentico. Quella storia deve piombare da fuori,
come quando accade che i libri ci scelgano e gli autori
diventino amici a cui vorremmo telefonare alla fine della
lettura per chiedere loro come fanno a conoscerci o dove
hanno sentito la nostra storia. Quella storia è uno specchio
che ti sorprende a esclamare: questa è la mia, questo
sono io, ma non avevo le parole per dirlo. E forse scopri di
non essere solo, definitivamente solo.

Margherita vide una ragazza fissare inebetita il display del
cellulare, il volto parve staccarsi. Sicuramente un brutto
messaggio del suo fidanzato, pensò. Vedeva e non poteva
farne a meno. Perché così tanto dolore sui volti? E la gioia
come un fiore selvatico e minuscolo in una foresta
immensa e labirintica? Vedeva la buccia e la polpa, i volti
e la vita sotto, la musica delle cose e e le cose mute. Che
musica era? Forse la vita è questo?

Forse la vita è questo: amare,
soffrire e quel che scegli di fare nel frattempo.

Le si avvicinò a tal punto che avrebbe potuto toccarla.
Avrebbe voluto nascondere la faccia nell’onda dei capelli,
poggiare la mano sulla spalla ripiegata in avanti o sfiorare
con le labbra il collo esile. Era a un passo e la fissava
come fosse sua, ma poi la superò. Gli mancò il coraggio.
Lui che rubava senza sbagliare un colpo. Aveva paura di
perdersi nel labirinto e trovarsi faccia a faccia con il
Minotauro, paura di avvicinarsi troppo al sole con le sue ali

di cera. Paura di amare?

Feel everything you can.

L’esercizio durò qualche minuto, e Margherita si stupì che il
tatto e l’olfatto percepissero così tante cose e che
abitualmente li usasse così poco

Margherita sorrise e si lasciò prendere dal gioco che
aveva involontariamente contribuito a rendere reale. Provò
l’ebbrezza di estraniarsi dal mondo.

«Hai ragione» disse lui, la frangia nera a proteggere gli
occhi di ghiaccio lucente. «Come stai?» chiese poi, come
se si conoscessero da sempre.
«Bene. E tu?» rispose lei, paralizzata da quegli occhi, da
quella voce e dalla neve che continuava a cadere fitta.
«Da ore ti cerco» rispose lui.
«Perché?» chiese Margherita.
«Devi spiegarmelo tu.»

«Tu hai talento. Segui gli altri: iniziamo un altro esercizio.»

«Mai. Ho solo lasciato che accadesse.»
«In che senso?»
«Non lo so, sono cose che nessuno sa...»

«Un uomo sceglie una donna, e viceversa, nella speranza
che ci sia almeno uno o una al mondo capace di
perdonare tutto quello che fa, o che almeno ci provi.
Almeno uno capace di perdonarti esiste......»

Non voleva tornare a casa e lavare via tutta la gioia che le
si era attaccata addosso, ma allo stesso tempo aveva
bisogno di raccontarla a qualcuno, per poterla custodire
meglio. Così deviò e si diresse verso casa della nonna, e
mentre la luce di fuori si mescolava con quella di dentro si
ripeteva la frase di quel ragazzo: “Devi spiegarmelo tu”
Così è l’amore. Comincia con un mistero e la risposta da
dare a quel mistero è il segreto della sua durata. La luce
oscura di quel mistero abbracciava tutto, e lei, per la prima
volta da quando suo padre se n’era andato, non si sentì
sola.

«Nun c’è sàbbatu sinza suli, nun
c’è fìmmina sinza amuri»

«Gli uomini
sono come i melloni rossi.»» Lo diceva con due l e una o
strascinata, perché dalle sue parti non si distingue tra
anguria e melone, ma tra mellone bianco e mellone rosso.
«Cioè? Ma non ci riesci a darmi una risposta senza
parlare di cose da mangiare?»
«Signorina, io so parlare accussì...» fece la nonna
fingendosi offesa.
«E quindi, dài, spiega!»
«Quando tu compri un mellone non sai se è buono, vedi
solo la scorza verde e le dimensioni. Ma ci sono due modi
per sapere se è buono.»
«Quali?»
«Prima ci tuppulii sopra.»
«Che fai?»
«Ci bussi. E se fa un suono bello pieno e compatto, allora
vuol dire che non è spugnoso, che è la cosa peggiore.»
«E il secondo modo?»
«Poi devi praticare un buco ed estrarre un pezzo che dalla
scorza arriva fino al cuore del mellone e assaggiarlo.
Questo serve a vedere se è dolce, perché dopo un mellone
spugnoso non c’è niente di peggio che un mellone senza
sapore. Ti ci puoi solo lavare la faccia con quello o ci puoi
fare il gelo...»
«Il gelo?»
«Sì, una specie di budino al mellone.»
«E che c’entra con l’amore?»
«Come che ci trasi? Prima devi vedere se una persona
c’ave a testa. Ci tuppulii e vedi se è piena. Se c’ave a
testa spugnosa, lassa pirdiri. Poi devi vedere se c’ave u
core. Devi fare un buco che dalla scorza, che può essere
pure bellissima ma non basta, arriva fino al cuore, per
capire se è dolce fino in fondo

«È lo sguardo di un uomo che ti frega.»
«Sembrava che vedesse in me qualcosa che io non avevo
mai visto.»
«Il tuo ombelico.»
«Nonna! Ma che dici? Che c’entra l’ombelico, adesso?»
«Gioia mia. L’amore è fatto di carne. L’uomo desidera la
donna e la risveglia: lei si sente voluta, amata. Quando un
uomo tocca una donna ci tocca l’anima. Non tutti gli uomini
arrivano a sentire l’anima sotto le dita, alcuni vastasi si
fermano alla scorza. Una carezza sulla pelle di una donna è
capace di allisciarci l’anima, uno schiaffo di frantumarla... E
poi dall’ombelico parte quel filo a cui è legata la vita, quella
corda non si rompe mai... e un uomo ci s’aggrappa
sempre.»

«Gli occhi si cercavano dentro,
cercavano quello che tutti gli innamorati cercano e non
sanno cos’è...»

«Gioia mia, quello che so è che cerchiamo la vita. Il nostro
respiro non ci basta e vogliamo il respiro di un altro
Vogliamo respirare di più, vogliamo tutto il fiato di tutta la
vita. Nella mia terra le persone che ami le chiami ciatu mio:
“respiro mio”. Si dice che la persona giusta è quella che
respira allo stesso ritmo tuo. Così ci si può baciare e fare
un respiro più grande...»

A cena Margherita inghiottì tutta la felicità che aveva
masticato e la nascose nello stomaco, non lasciando
spazio ad altro. Finse di mangiare qualcosa, perché non
voleva che la madre le mandasse in frantumi quel po’ di
magia che era entrata nella sua vita.
«Come è andato il corso di teatro?»
Margherita la guardò corrugando la fronte: «Chi te lo ha
detto?».
«Qualche giorno fa ho parlato con la madre di Marta e mi
ha detto che voleva proporti di andare con lei...»
«E tu cosa le hai risposto?»
«Che per me andava bene, sono contenta che tu ci vada»
disse Eleonora.
«Ah.»
«Potevi anche dirmelo però...»
«Temevo non volessi.»
Eleonora si nascose dietro un bicchiere d’acqua.
«Cosa avete fatto?»
«Niente di che.»
«E ti è piaciuto?»
«Sì.»
«Che cosa in particolare?»
«Gli esercizi.»
«Esercizi come?»
«Esercizi.»


 La vita è più o meno
così, pensò. Senza ordine, senza regole. Sfugge da tutte le
parti. Ed è maledettamente priva di senso estetico.
Bisognerebbe insegnarle un po’ di ordine, a stare dentro la
tela o dentro la pagina, a usare i colori e le parole giuste, a
smetterla di inventare, senza rispetto di quelle regole
precise e di sicuro effetto che garantiscono la bellezza:
l’unità dell’insieme, l’armonia delle singole parti, la grazia
del tutto.

Margherita aprì la busta e dentro c’era uno di quei
braccialetti che si fanno con fili variopinti. Marta l’aiutò ad
annodarlo attorno al polso.
«Loro dicono che una volta annodato non lo puoi più
togliere, altrimenti porta sfortuna. Dovrà sciogliersi da solo,
e quando accadrà si realizzerà il desiderio che hai
espresso quando hai cominciato a portarlo...» Mentre lo
raccontava le mostrava il suo polso con una serie di
bracciali coloratissimi e piuttosto sfilacciati. Aggiunse con
uno sguardo complice: «Uno per ogni desiderio!»

va’
a domandare del padre partito da tempo, / se mai te ne
parli qualcuno o sentissi da Zeus / la voce che divulga la
fama tra gli uomini. Atena provoca in Telemaco una
insostenibile nostalgia del padre.

«Per i Greci la verità è alétheia: che vuol dire sia ciò che
non deve rimanere nascosto sia ciò che non si deve
dimenticare, ciò che rimane stabile nel flusso del tempo
che tutto rapisce. Per questo i morti bevono le acque del
fiume Lete, il fiume dell’oblio, prima di entrare nell’aldilà,
per non rimpiangere tutto ciò che hanno avuto e perduto.
Così Telemaco comincia a desiderare di rivedere quello
che dicono essere suo padre, la nostalgia sopita nel
sangue si risveglia, grazie a una dea che gli ricorda la
verità, ciò che non può e non deve né nascondere né
dimenticare, se non al prezzo di nascondere e dimenticare
se stesso.»

Margherita fissava la bocca del professore ipnotizzata
dalla parola padre, che ogni volta le produceva una
scossa.
«Così Atena pronuncia quella frase che amo tanto: non
devi più / avere i modi di un bimbo, perché ormai non sei
tale. Sottolineate anche questi versi.»

il padre è il coraggio del figlio.

«Così termina il primo libro dell’Odissea, con Telemaco
insonne. Egli rientra nella sua stanza e passa tutta la notte
sveglio a progettare il viaggio che Atena gli aveva
ispirato.»

  • E a quattordici anni sei un funambolo a piedi nudi sul tuo filo e l'equilibrio è un miracolo.
  • Quando hai paura è segno che la vita sta cominciando a darti del tu.
  • Le cose rimangono invisibili senza le parole adatte.
  • E l'arte è il codice che rende visibili le cose che tocchiamo tutti i giorni, che proprio perché le tocchiamo diventano opache, abusate, invisibili.
  • Il guaio è che le parole sono solo parole, le puoi far nascere anche quando sono già morte.
  • Nella vita di tutti i giorni nessuno ti chiede di raccontare la storia che ti morde il cuore e te lo mastica, e se qualcuno te lo chiede, nella vita di tutti i giorni nessuno riesce a raccontare quella storia, perché non trovi mai le parole adatte, le sfumature giuste, il coraggio di essere nudo, fragile, autentico. Quella storia deve piombare da fuori, come quando accade che i libri ci scelgano e gli autori diventino amici a cui vorremmo telefonare alla fine della lettura per chiedere come fanno loro a conoscerci o dove hanno sentito la nostra storia. Quella storia è uno specchio che ti sorprende a esclamare: questa è la mia, questo sono io, ma non avevo le parole per dirlo. E forse scopri di non essere solo, definitivamente solo.
  • Per vivere non bastano la scuola, il calcio, gli amichetti, occorre attraversare tutti gli strati della paura per non averne più. Spingere il corpo al limite dell'adrenalina, fino a controllare persino lo spirito di sopravvivenza e scegliere tutto quello che lo contraddice con perfetto calcolo. Una vita che non attraversa la paura non esiste, è una maschera, è finta.
  • «Sapete perché i libri hanno le orecchie?» «Per tenere il segno» «No» «E perché allora?» «Perché ci ascoltano e hanno le orecchie proprio in quelle pagine che ci ascoltano di più.»
  • «Quando è stata l'ultima volta, ragazzi, che avete perso il sonno pensando al viaggio della vita che vi attende? Quando?» Come invasato, senza aspettare la risposta, fissando gli occhi assetati degli studenti aggiunse: «Male! Dovete perdere il sonno sognando il vostro futuro. Il sonno lo perdiamo perché la vita ci fa paura e ci emoziona allo stesso tempo, la vogliamo aggredire e strapparle le sue promesse, ma ne abbiamo paura. Abbiamo paura che ci abbatta, che le speranze restino deluse, che tutto sia stato frutto dell'immaginazione. Dovete perdere il vostro sonno pensando al futuro. Non ne abbiate paura. È segno che state vivendo, che la vita sta entrando in voi.»
  • È il vento. Non lo vedi né lo senti sinché non trova un ostacolo, come tutte le cose che ci sono sempre state. Persino il mare sembra senza limiti, eppure canta solo quando li trova: infrangendosi sulla chiglia diventa schiuma; spezzandosi sugli scogli, vapore; sfinendosi sulle spiagge, risacca. La bellezza nasce dai limiti, sempre.
  • Cosi è la bellezza: nasconde delle storie, spesso dolorose. Ma solo le storie rendono le cose interessanti...
  • Chi ha un amore che veglia può dormire sonni tranquilli.
  • Ma l'amore a volte si fulmina: perché poco a poco il filo si assottiglia a causa di quello stesso calore che lo accende.
  • Mai fidarsi dei diminutivi o dei vezzeggiativi dei professori: preludono a disastri degni del più cruento dei dispregiativi.
  • Prima di addormentarsi e trasformarsi in sogni i pensieri subiscono la forza di gravità universale, che i poeti chiamano amore, che tutto attira a sé, silenziosamente.
  • La vita è anarchia pura e l'istinto di sopravvivenza è l'unico ordine accettabile imposto al caos delle cose.
  • Le lacrime, un lusso che solo i deboli possono concedersi.
  • Era entrata nella sua vita come succede con i libri per cui si prova un'attrazione immediata, come un pezzo d'anima scappata via in un tempo dimenticato.
  • Gli dèi donano soltanto il primo verso, poi il compito dei poeti è esserne all'altezza nei successivi, e così è l'amore: accade come un dono del cielo e poi il testimone passa a noi, chiedendoci il coraggio e la fatica di lasciarlo accadere, senza paura della nostra inadeguatezza.
  • Chissà se anche quelle [le ferite] dell'amore ferito raccolte tutte insieme formano un oceano più vasto di quelle scaturite dall'amore corrisposto.
  • Chissà se sono in equilibrio come le salite e le discese. Sono cose che nessuno sa.
  • "Margherita, la vita è come i dolci. Puoi avere tutti gli ingredienti e le istruzioni della ricetta, ma non basta perché siano buoni."
  • La gente legge romanzi d'amore, guarda commedie romantiche, ascolta canzoni sentimentali. E pensa che l'amore riempia il vuoto della propria solitudine. Ma nessuno può riempire ciò che non ha fondo.
  • Meglio stare lontani dalla vita, altrimenti si finisce con il contrarre il vizio della bruttezza. La vita non è mai in rima, al massimo concede un'assonanza, di norma fa solo rumore.
  • Se uno ha un tesoro, non lo perde. Se lo tiene stretto a tutti i costi, è questione di vita o di morte.
  • "Non è la poesia a fare un amore, prof, ma il contrario!"
  • Si dice che la persona giusta è quella che respira allo stesso ritmo tuo. Così ci si può baciare e fare un respiro più grande...
  • La vita è più o meno così, pensò. Senza ordine, senza regole. Sfugge da tutte le parti. Ed è maledettamente priva di senso estetico.
  • L'invidia le mangiava il cuore e lei dava libero corso a quel vizio così strano: l'unico che non da' piacere a chi gli si abbandona con voluttà.
  • Sognare dentro la realtà: questo rende i sogni più grandi, veri, palpabili!
  • In ogni vita c'è un'India da raggiungere, un'America da scoprire, un miraggio da trasformare in realtà.
  • Perché ogni cosa bella troppo spesso è quello che resta di un naufragio.
  • Ma sono anche il fiore, che ama il Piccolo Principe. Sono anche il Piccolo Principe, che vuole addomesticare la volpe. Sono la volpe, che riesce a fidarsi di qualcuno, costi quel che costi. E di me si deve prendere tutto, quello che sono e quello che non sono. Ma ho una paura dannata del morso del serpente.
  • Il cuore non è altro che una fila di stanze, sempre più piccole, una immette in un'altra attraverso una porta chiusa e scale che scendono. Sono in tutto sette stanze. Il cuore del cuore è la settima, la più difficile da raggiungere, ma la più luminosa perché le pareti sono di cristallo. Gioia e dolore vengono da quella stanza e sono le chiavi per entrarci. Gioia e dolore piangono le stesse lacrime, sono la madreperla della vita, e quel che conta nella vita è mantenere intatto quel pezzetto di cuore, così difficile da raggiungere, così difficile da ascoltare, così difficile da donare, perché lì è tutto vero.
  • Lei guardava rapita un uomo capace di credere in quello che gli dici, anche se è una cosa da bambina di dieci anni. Se solo gli uomini sapessero che per amare una donna occorre amare la bambina che è in lei...
  • A osservare bene come gli altri guardano le cose si scopre chi sono e cosa vogliono, prima ancora che aprano bocca.
  • Giulio la strinse più forte, chiedendosi chi stesse abbracciando l'altro, chi dava e chi riceveva. In un abbraccio viene un momento in cui non si distingue più, e quando accadde la prima volta, qualcuno lo chiamò amore.
  • Su quel filo ondeggiante, un abbraccio donava l'equilibrio, il segno che l'amore è restare anche quando la vita ti urla di correre.
  • Ridevano: così succede dopo che la morte ti si è attaccata addosso: viene da ridere, come si ride quando si è scampati ad un pericolo. Si ride sino alle lacrime.
  • Nei film certe cose succedono perché qualcuno le fa nella realtà.
  • L'unica forza per stare in equilibrio sul filo della vita è il peso dell'amore. Le parole, il lavoro, i progetti, il successo, i progetti, il successo, i viaggi... niente basta a stare in equilibrio, né serve andare in fretta. I bravi funamboli non poggiano il piede di colpo, ma prima la punta, poi la pianta e infine il tallone. Con la lentezza scoprono ciò che appartiene a loro. Solo così il passo diventa leggero e la camminata danza.
  • Nessuna perla è uguale all'altra. Nessuna perla è mai perfettamente simmetrica. E nelle cose di questo mondo meglio tenersi lontani dalla perfezione: la luna quando è piena comincia a calare, la frutta quando è matura cade, il cuore quando è felice già teme di perdere quella gioia, l'amore quando raggiunge l'estasi è già passato. Solo le mancanze assicurano la bellezza, solo l'imperfezione aspira all'eternità.
  • Come può mancarci chi non abbiamo mai avuto? Cosa ci manca veramente: l'altro o una parte di noi stessi? O abbiamo bisogno di qualcuno che ci regali quella parte di noi stessi che ci manca? Sono cose che nessuno sa.

  • Se parti dalla consapevolezza che la meta è un capolinea, tutto il resto diventa spietatamente chiaro. Non vale la pena affannarsi, la natura va avanti benissimo senza di te, di te se ne fotte. Con la ferrea legge del più forte e quella cinica dell'autoconservazione, inesorabili, il destino di tutto e tutti si compie. L'unica libertà concessa è resistere con dignità fino al capolinea, giocando come il gatto con il topo, consapevoli però di essere il topo, non il gatto e di non avere scampo. cercare di divertirsi almeno. e poi scendere, soddisfatti. Almeno un poco. Capolinea.


Bright Star
Bright star, would I were stedfast as thou art–
Not in lone splendour hung aloft the night
And watching, with eternal lids apart,
Like nature’s patient, sleepless Eremite,
The moving waters at their priestlike task
Of pure ablution round earth’s human shores,
Or gazing on the new soft-fallen mask
Of snow upon the mountains and the moors–
No–yet still stedfast, still unchangeable,
Pillow’d upon my fair love’s ripening breast,
To feel for ever its soft fall and swell,
Awake for ever in a sweet unrest,
Still, still to hear her tender-taken breath,
And so live ever–or else swoon to death.

Stella Luminosa
“Stella luminosa, fossi ferro come tu lo sei 
ma non in solitario splendore sospeso alto nella notte, 
a vegliare, con le palpebre rimosse in eterno,
 come paziente di natura, insonne eremita,
 le mobili acque al loro dovere sacerdotale
 di puro lavacro intorno a rive umane,
 oppure guardare la nuova maschera dolcemente caduta
 della neve sopra i monti e le pianure.
 No - pure sempre fermo, sempre senza mutamento,
 vorrei riposare sul guanciale del puro seno del mio amore,
 sentirne per sempre la discesa dolce dell’onda e il sollevarsi,
 sempre desto in una dolce inquietudine
a udire sempre, sempre il suo respiro attenuato,
 e così vivere in eterno - o se no venir meno nella morte”.

Giulio rimaneva fermo a guardarla e si
chiedeva a cosa mai avesse obbedito, lui che aveva
sempre deciso da solo cosa fare. Si era fermato. Perché
lei aveva bisogno di protezione, e tutto il resto poteva
anche andare in malora.
Margherita adesso camminava lentamente, come se
scegliesse dove poggiare il piede su quel filo invisibile che
li univa, e Giulio le andava incontro sullo stesso filo. Le
porte e le finestre del vicolo assistevano mute allo
spettacolo. L’aria del mare risalì in un soffio che fece
ondeggiare il filo, stavano per perdere l’equilibrio entrambi,
ma si raggiunsero e lui l’accolse tra le braccia.
«Scusami se non so mantenere le promesse.»
«Quali promesse?»
«Di non lasciarti sola.»
Su quel filo ondeggiante, un abbraccio donava l’equilibrio,
il segno che amore è restare anche quando la vita ti urla di
correre.
Margherita lo strinse più forte, nascondendo il viso nella
sua spalla, come si fa da bambini.
Giulio la strinse più forte, chiedendosi chi stesse
abbracciando l’altro, chi dava e chi riceveva. In un
abbraccio viene un momento in cui non si distingue più, e
quando accadde la prima volta, qualcuno lo chiamò amore.

Nessuna perla è uguale all’altra. Nessuna perla è mai
perfettamente simmetrica. E nelle cose di questo mondo è
meglio tenersi lontani dalla perfezione: la luna quando è
piena comincia a calare, la frutta quando è matura cade, il
cuore quando è felice già teme di perdere quella gioia,
l’amore quando raggiunge l’estasi è già passato. Solo le
mancanze assicurano la bellezza, solo l’imperfezione
aspira all’eternità. La perla se ne sta lì con quella sua
irraggiungibile imperfezione, nata dal dolore. E dall’amore
che lo abbraccia.

«Ehi, Marghe! Sono Marta. Come stai? Sai che dice il tuo
oroscopo di oggi? L’ho imparato a memoria: “Non
lasciatevi rubare il tempo dai cattivi pensieri del passato,
ma guardate al presente. Anche se non vi sembra un
granché, è il migliore possibile per mettere alla prova le
vostre risorse. Uscite, parlate, amate. Forse vi aspettate
troppo dal mondo e invece è il mondo che si aspetta
qualcosa da voi”.»

«Adesso, in questo posto, è il tuo turno. Per questo tua
Nonna voleva che leggessi qui la lettera. Adesso il
Testimone passa a te, amore mio. A noi.»
Le parole di Giulio sono come le conchiglie: ci poggi.
L’orecchio contro e promettono l’infinito. Ha ragione: molte
Cose sono morte e ne sono nate di nuove, come gli alberi.
Che si nutrono delle foglie che hanno perso.
Margherita fissa i suoi occhi e guarda l’orizzonte.
Attraverso i suoi occhi. Quante domande ancora senza
Risposta! Ogni volta che il destino ne presenta una, è il
momento di lasciare fluire la madreperla dentro di sé,
Perché trasformi la vita stessa nella risposta a una delle
Tante cose che nessuno sa. È il momento di chiudere le
Valve e lasciare che il cuore suggerisca piano piano, come.
in confidenza, dalla sua stanza più remota, che non c’è.
Risposta soddisfacente, perché l’unica risposta è un amore
più grande per la vita e la sua incompiutezza.
Stringe le mani su quelle di Giulio, attorno al grembo che
un giorno passerà il testimone ancora una volta. E le pare
Così dolce essere al mondo che vorrebbe dire grazie alla
Vita per quello che è, dirglielo direttamente.
Guardano il mare dinanzi a loro. Paziente, costante, eterno
spettatore di questo passaggio di consegne tra le creature
Fragili che lo solcano. E la luce è rimasta l’unico
Comandamento in questo tramonto concede alla notte di
Venire per poi tornare ancora. Con una nuova speranza e
Un nuovo pianto.
Margherita sente il cuore battere, sistole diastole sistole
Diastole sistole diastole, come accade quando qualcuno ti
abbraccia. La gioia di vivere la invade. Batte forte, potente,
simile alla risacca, nel ritmo antico e sacro delle cose del
mondo che ripetono l’incessante e silenziosa eco che la
vita come una conchiglia porta nel suo grembo.



Nessun commento:

Posta un commento